L’Europa, la Cultura, la Sinistra

Citto Maselli*

Come sappiamo il primato dell’economia e della finanza, elevata da gran vettore dei processi di globalizzazione in corso a filosofia fondamentale dello sviluppo, conduce a un futuro – ad un  presente – d’ingiustizia e disuguaglianze che non hanno precedenti nella storia dell’umanità. La distruzione tendenziale della politica e la riduzione a lacci e lacciuoli dei parlamenti, dei sindacati e delle istanze democratiche in genere, disegnano un progetto dove masse immense d’individui vivranno  – vivono oggi – in  povertà e subalternità, mentre sempre più concentrata è l’elite dirigente della produzione e della distribuzione della ricchezza.

Luigi Pintor terminava uno dei suoi più famosi editoriali in cui descriveva il futuro del nostro pianeta con le seguenti parole: “…finché la terra tremerà di nuovo sotto i nostri ben calzati piedi”.  Nel suo stile sintetico e allegorico diceva in quattordici parole che le disperazioni e le barbarie che di più in più e sempre più vivranno miliardi di individui non potranno che condurre a un’immensa rivolta sociale, e che questo avverrà anche se le sinistre non ne saranno protagoniste.

Io penso che la destra – politica, economica, sociale e culturale – l’idea di questo “rischio” l’abbia ben chiara. E che abbia perfettamente e fisiologicamente chiaro che è la cultura il luogo dove può svolgere la massima opera di “prevenzione”, di soffocazione. Conosciamo a memoria l’insofferenza di tanti e tanti intellettuali  e di tante forze anche della e nella sinistra europea quando si ripropongono i termini reali di una battaglia che si svolge fra chi lotta per l’affermazione di una cultura critica e plurale e chi invece lavora tenacemente e molto seriamente alla costruzione di un senso comune fatto di passività e adeguamento all’esistente.

Non è un caso che nella Carta dei diritti votata a maggioranza dal Parlamento europeo e poi da quello italiano circa una decina di anni fa, la cultura non esistesse. E’ ignorato, cioè, uno dei cardini delle possibilità di mantenimento delle radici storiche dei popoli e delle comunità nei confronti di quella macchina di distruzione rappresentata dai processi di globalizzazione che sono in corso.

Non è un caso, perché questo cardine della sopravvivenza delle ricchezze immateriali accumulate sul nostro pianeta nei secoli e nei millenni interferisce con gli immensi interessi del grande capitale finanziario che vengono concentrandosi su quel settore trainante dello sviluppo che è oggi la comunicazione.

Mi riferisco alle mille straordinarie e complesse realtà di cui è fatta la storia e la cultura dei popoli. E dunque alla “diversità” come valore e luogo insieme oggettivo e politico di resistenza e reazione ai processi in atto. Ecco allora che il famoso “pensiero unico” cui alludeva una fortunata definizione di “Le Monde”, fotografa oggi la filosofia unitaria che lega i naturali meccanismi di concentrazione finanziaria e unificazione produttiva a una più generale necessità di imporre un senso comune in grado di spegnere o comunque attenuare la carica critica d’ogni cultura autonoma con tutte le sue possibilità di pericolosissimo sviluppo.

E dicendo “filosofia unitaria” parlo soprattutto d’una logica. La stessa che unisce le dinamiche fattuali di concentrazione economica e produttiva alle necessità più generali e necessariamente politiche di creazione d’una domanda sempre più planetariamente estesa e omologa all’offerta.

In realtà quello che è in gioco su questo terreno va al di là della cultura propriamente detta: nel diritto e dunque nella possibilità di scelta dei cittadini europei, nella molteplicità dell’offerta di cultura e dunque nella circolazione delle idee c’è il senso stesso della democrazia. Esattamente come l’unificazione sostanziale dei modelli culturali e ideali proposti secondo i meccanismi vincenti del mercato appartiene a una logica di dominio e passivizzazione che contiene tutti i germi di forme nuove di autoritarismo.

Ne siamo tragici testimoni oggi: la paura dell’ “altro” da te, la disperata solitudine della povertà, l’individuazione del nemico in chi sta al tuo fianco e non sopra di te, la rivendicazione di valori “oggettivamente” superiori, il luogo di nascita come “proprietà”, la costruzione di muri e barriere, la disumanità e la barbarie dei nostri giorni ne sono la dimostrazione più terribile.

Finché non si capirà che la cultura e la conoscenza – dalla formazione al cinema, alla televisione, al teatro, alla musica, all’architettura, alla ricerca, alla letteratura e così via – sono un luogo essenziale del cambiamento; finché la sinistra europea non assumerà la cultura non più e non solo come uno dei tanti punti su cui intervenire ma come luogo strategico e centrale, come strumento della lotta contro il genocidio del mercato, contro il neoliberismo, le disuguaglianze, le discriminazioni, la guerra; finché non si capirà tutto questo lavoreremo sì per una società economicamente più giusta ma non arriveremo al fondo del problema, a quel cambiamento radicale, a quell’altro mondo possibile, oggi necessario come non mai.

Pubblicato su Transform