La deriva della politica culturale

Stefania Brai*

Su un quotidiano na­zionale è apparso un articolo dal titolo “Ro­ma, il tramonto della cultura: finito il Vel­tronismo, la Capitale si è spenta”. Intenden­do ovviamente per “veltronismo” la politi­ca dei grandi eventi, delle notti bianche, della Festa del cinema ma anche delle “case” del cinema, delle letterature, del jazz, eccete­ra. Credo che si debba iniziare proprio da qui per ragionare, a mio parere, sulla deriva che ha caratterizzato le politiche per la cultura – negli enti locali, ma non solo – esattamente a partire dalle politiche “veltroniane”. Parlo di deriva perché è proprio quell’idea di occasio­nalità, di eventismo, di pura immagine, di mercificazione e di privatizzazione di fatto, che ha provocato lo “spengimento” non solo di Roma e di tante altre città, ma della produzio­ne culturale in generale nel nostro paese.

Perché con l’idea che la cultura è una “facciata” per abbellire il nostro territorio e magari per ri­chiamare i turisti, non si va da nessuna parte. O meglio: si fa parlare di sé sulla stampa, “ci si fa un nome”, si “illuminano” per qualche gior­no alcune città, si produce probabilmente un utile economico per i commercianti e forse – quando va bene – per gli albergatori, ma si fini­sce per contribuire esattamente a quella deserti­ficazione che si dice a parole di voler combattere. Perché le istituzioni culturali pubbliche han­no come condizione di esistenza la certezza del sostegno pubblico e non l’incertezza degli sponsor privati; se siamo d’accordo che in quanto pubbliche non solo sono di tutti, ma devono avere come ragion d’essere l’utile cul­turale e dunque sociale: che vuol dire proget­tazione a lungo termine, vuol dire gestione af­fidata in base a concorso su un progetto culturale, vuol dire attività permanente sul territorio, vuol dire politiche economiche che consentano l’accesso a tutti, anche di giorno e non solo di notte o le prime domeniche del mese.

E tutto questo può essere garantito solo dallo Stato, in tutte le sue articolazioni, e non da chi, legittimamente, ricerca solo l’utile econo­mico. Vorrei far notare che il successo delle notti bianche e delle domeniche gratuite ai musei tanto sbandierato da Franceschini (co­me da tutti i ministri che lo hanno preceduto) dovrebbe far riflettere sul fatto che se tanta gente è disposta a fare file lunghissime per una intera giornata festiva (cioè libera dal la­voro) per poter entrare gratis ad un museo non vuol dire che l’idea è geniale, vuol dire so­lo che le persone hanno bisogno della cultura ma che semplicemente non se la possono per­mettere. E che dunque uno Stato che sia real­mente tale invece di elargire bonus ed elemo­sine, dovrebbe garantire i diritti dei cittadini.

E la cultura e la conoscenza sono un diritto. E la desertificazione delle nostre città è prodot­ta dalla chiusura delle biblioteche per man­canza di finanziamenti pubblici, dalla trasfor­mazione di sale cinematografiche e teatrali e degli spazi autogestiti in esercizi commerciali senza che nessun politica pubblica intervenga a difesa e sostegno dei luoghi della cultura. Ancora: la desertificazione culturale è prodot­ta dalla fine del sostegno pubblico alla produ­zione culturale ed artisti­ca. Si è scelta ormai da diversi anni la strada del­la defiscalizzazione a so­stituzione del finanzia­mento delle opere e degli artisti. Sono sempre soldi pubblici, ma si preferisce con la fiscalità generale fi­nanziare le imprese e pre­miare i risultati sul merca­to invece che promuovere e sostenere quella produ­zione culturale e creativa che in base alle sole rego­le e ai solo meccanismi di mercato non potrebbe mai vedere la luce. Vuol dire fine del ruolo so­ciale dello Stato, vuol dire trasformazione del­lo Stato in imprenditore privato con scopi di lucro.

In questi giorni si discute sul ruolo delle amministrazioni locali in vista delle elezioni del prossimo 5 giugno. Ma delle politiche per la cultura degli enti locali si sente parlare po­chissimo. Vorrei fare allora mia la “Lettera aper­ta” che circa 250 operatori della cultura, della co­noscenza e dell’informazione (artisti, scrittori, attori, giornalisti, docenti universitari, lavora­tori, autori, ricercatori, operatori dei circoli del cinema, eccetera) hanno indirizzato ai candidati sindaci della sinistra. In particolare là dove si dice che “anche con la cultura e la co­noscenza si combattono la rassegnazione, la solitudine e l’antipolitica, anche con la cultura e la conoscenza si costruisce l’inclusione e la convivenza tra popoli e storie diverse, anche con la cultura e la conoscenza si combatte la desertificazione di tutte le nostre tante “peri­ferie”, si ricostruisce la fiducia nelle istituzioni, si ricostruisce una democrazia vera, e una vera riforma dello Stato in tutte le sue articolazioni che metta la partecipazione e la trasparenza al primo posto.

Le profonde disuguaglianze si misurano non solo tra chi ha e chi non ha, ma anche tra chi sa e chi non sa”. Così come con­divido pienamente i punti di programma alle­gati alla “lettera aperta”, nei quali si afferma tra l’altro che “è prioritaria una politica per ga­rantire l’accesso, la ri-costruzione e la gestio­ne partecipata dei “luoghi” della cultura… Di fronte alla vera e propria strage di questi spa­zi, alla loro trasformazione in sale da gioco, centri commerciali e quant’altro, noi chiedia­mo una legge… che impedisca il cambio di de­stinazione d’uso di tutti i luoghi della cultura, della conoscenza e dell’arte. E proponiamo che laddove il privato non sia più in grado di sostenere economicamente uno di questi luo­ghi, intervenga l’ente locale acquisendone la proprietà e garantendo finanziamenti certi per l’attività culturale… Pensiamo anche alla creazio­ne di spazi realmente pubblici in ogni quartie­re di ogni città o paese, nei quali sia data – in particolare ai giovani – la possibilità di pro­durre, ricercare e sperimentare, esprimersi e creare e nei quali sia possibile accedere alla produzione e alla fruizione culturale. Luoghi del territorio e non sul territorio”. Sarebbe davvero un segnale di discontinuità se qualcu­no dei futuri sindaci non si facesse attrarre dalle “luci della ribalta”, ma dando voce alle speranze di cambiamento si mettesse a lavo­rare con tutte le forze sociali e culturali del proprio territorio per ri-costruire delle città a misura delle persone e dei loro diritti.

Pubblicato su Diari di Cineclub

* responsabile nazionale cultura del Partito della Rifondazione comunista/Sinistra europea